La lotta contro l’occupazione militare nelle Nazioni senza Stato deve diventare un patrimonio comune

Buonasera a tutti,
ringrazio Corsica Libera per aver dato la possibilità a ProgReS – Progetu Repùblica de Sardigna di partecipare alle Ghjurnate Internazionali di Corti; non nascondo l’emozione di partecipare a queste giornate, non soltanto per la loro proiezione internazionale di altissimo livello ma anche perché rappresentano un momento decisivo nell’ambito della cooperazione internazionale delle Nazioni senza Stato.

L’iniziativa che stiamo presentando in questo momento è una spinta in avanti rispetto ai rapporti di solidarietà tra Nazioni senza Stato e credo che possa essere l’inizio – almeno noi auspichiamo questo – di un lavoro comune anche su altri temi e su altri problemi di queste due Nazioni, di questi due Paesi del Mediterraneo.

Lasciatemi anche dire che noi riteniamo che la lotta contro l’occupazione militare nelle Nazioni senza Stato deve diventare un patrimonio comune di tutte le Nazioni senza Stato, anche di quelle che hanno un’occupazione e una presenza militare minore rispetto alle nostre perché ricordiamoci sempre che la lotta contro l’occupazione militare è anche una lotta per la pace e le Nazioni senza Stato hanno bisogno di pace per poter raggiungere la loro indipendenza.

Per quanto riguarda la Sardegna si parla molto spesso del termine “servitù militari” che evoca, se badate bene, una situazione di Diritto in cui due parti si accordano per costituire un peso sopra un territorio in cambio di una indennità in denaro; questo quindi che cosa implica? Implica una volontà tra due parti – tra due soggetti – che hanno gli stessi diritti e che hanno gli stessi obblighi, quindi in un rapporto di reciproco riconoscimento giuridico. Le servitù militari in Sardegna e – lasciatemelo dire – anche in Corsica, non seguono questa impostazione.

Ecco perché noi indipendentisti preferiamo parlare di occupazione militare e non di “servitù militare”, quindi di una situazione di fatto, di una situazione fuori dal diritto, di un atto di prevaricazione di un soggetto – nel nostro caso lo Stato italiano e lo Stato francese nel caso della Corsica – che non riconosce la nostra sovranità sulla nostra terra.

Se questo diritto fosse riconosciuto nel caso della della Sardegna lo Stato italiano non avrebbe imposto il peso della presenza militare quasi esclusivamente in capo alla Sardegna – due terzi della presenza militare dello Stato italiano sono in Sardegna – ma eventualmente avrebbe redistribuito questa presenza sul suo intero territorio. Questo dunque non è un rapporto paritetico: è un rapporto coloniale che si basa sulla forza e non sui diritti.

Ci troviamo di fronte ad un’occupazione che noi riteniamo essere abusiva, della quale non è mai stato chiesto nulla ai sardi – non credo neppure ai corsi – e da 70 anni subiamo i danni di questo sopruso.

Non tutti i danni sono quantificabili: il dolore dei familiari che hanno perso i propri cari che si sono ammalati di leucemia o di altre malattie non è quantificabile, così come non sono quantificabili tutti quei danni che sono derivati dall’inquinamento di alcuni territori che risultano irreversibilmente compromessi. Non lo diciamo noi indipendentisti che sono irreversibilmente compromessi, lo dice la stessa magistratura italiana; i loro capi d’imputazione parlano di territori che non possono essere bonificati, che non possono essere recuperati.

Però ci sono danni che, invece, possono essere quantificati, ci sono danni che possono essere monetizzati, ecco l’idea di questa nostra iniziativa comune: vogliamo concentrare la nostra attenzione su questi danni attraverso una commissione internazionale.

Certo a noi (in Sardegna ndr) viene un po’ più complicato coinvolgere la classe politica sarda perché purtroppo nel parlamento sardo – come tutti voi sapete – non ci sono rappresentati indipendentisti e questo perché è stata confezionata una legge elettorale che penalizza chi non si allea con i poli italianisti.

Noi cercheremo di coinvolgere il Consiglio Regionale dal punto di vista istituzionale, e tra l’altro sarà nostro compito anche sollecitare che si riunisca nuovamente la consulta sardo-corsa che era stata istituita – anche grazie al Presidente Talamoni qui presente – perché rappresenta, dal punto di vista istituzionale, una forma di ulteriore possibilità di collaborazione.

Noi, ripeto, non possiamo presentare direttamente questa mozione ma studieremo nelle prossime settimane delle forme – anche di democrazia diretta – per far sì che il Consiglio Regionale sia costretto ad andare a votare questa questa mozione ed assumersi quindi la responsabilità di questa di questa iniziativa; anche perché potrei leggervi dei comunicati dei giorni scorsi e delle scorse settimane in cui il Presidente della Regione Sardegna continua a dire: “Le basi militari – come un mantra – le basi militari portano sviluppo, le basi militari sono occasioni di sviluppo anche economico…” è una continua litania propagandistica che però così – diciamo ad occhio – non trova alcun riscontro.

È ora che la classe politica unionista vada al di là della propaganda e faccia qualcosa di concreto, cioè quello che gli stiamo proponendo: commissionare questo studio, poi vedremo se le basi militari e se l’occupazione militare portano sviluppo economico oppure se condannano la Sardegna ad un perpetuo sottosviluppo non solo economico ma anche sociale e culturale.

Leggi lo speciale sull’ iniziativa “I costi della dipendenza”

Condividi: